Dire che soffro d’insonnia sarebbe una prognosi errata, ma è esattamente quella che mi hanno dato tutti i grandi specialisti del cazzo da cui sono andata. Come degli alberi si contano gli anni attraverso gli anelli del tronco le cartelle cliniche scandiscono la mia vita.
Sono stata visitata, analizzata e diagnosticata per ventisette anni senza successo da tutti i luminari da cui sono andata. Luminari di che cosa non l’ho mai capito, nessuno ha fatto luce con la sua scienza sull’incubo che vivo costantemente, vigile o addormentata non importa. Senza offesa.
Le poche ore di sonno che il mio corpo mi concede sono costellate da incubi degni dei migliori horror della storia del cinema. Ci sono poche cose orrende che non mi abbiano ancora visitato in sogno e le peggiori sono sempre quelle potrei vedere nella vita reale senza credere di star impazzendo.
Ci sono periodi in cui gli incubi peggiorano e allora dormo anche meno. È lì che inizia la vera tortura: provate voi a rimanere svegli per due o tre giorni di fila. Ad un certo punto il vostro cervello sarà talmente stanco da cominciare ad andare in corto circuito. Quando soffri d’insonnia le ore da sveglio e le ore da addormentato
sembrano tutte uguali. Non ci sei mai veramente. Nei sogni sei troppo vigile per dormire sul serio e da sveglio troppo stanco per recepire quello che ti sta succedendo o per capire quello che in realtà stai immaginando.
Le prime allucinazioni le ho avute a cinque anni. Vedevo sabbath di streghe danzanti attorno al mio letto, le loro ombre nere e lunghissime proiettate sui muri lilla della mia cameretta per via della luce arancione del fuoco che ero convinta stessero appiccando al materasso. L’ adolescenza è stato il momento in cui ho fatto la
conoscenza dell’ombra senza occhi. Nei periodi di stress maggiore (esami, litigi con le amiche e cazzate del genere) l’ombra veniva a trovarmi tutte le sere, a volte la vedevo da sveglia con la coda dell’occhio.
Dire che “mi fissava” sarebbe sbagliato visto che non aveva gli occhi, ma avevo la sensazione che facesse proprio quello. Mi guardava e basta, tutta la notte, finché non ero talmente agitata e in ansia da riuscire finalmente a svegliarmi. Quando ero sveglia faceva lo stesso, ma appena tentavo di metterlo a fuoco spariva.
Maturai dopo un po’ l’idea che più scavava dentro di me con le sue orbite vuote e sanguinolente più fosse difficile svegliarmi. Alla vigilia dei miei esami di maturità presi dei sonniferi. Secondo la logica, dovrei attribuire a quelli la mia totale incapacità di svegliarmi quella notte, ma io so che in realtà è stato perché l’ho sfidato. Mi fissava come al solito senza fare nulla se non far crescere dentro di me un senso di angoscia
paralizzante. Decisi che non avrei ceduto, non mi sarei svegliata. Per nulla al mondo avrei rinunciato a quelle ore di sonno così preziose. Sapevo di non avere altri sonniferi e che quella era la mia unica chance di riposare prima dell’esame. A dirla tutta, era soprattutto una presa di posizione: in quel periodo credevo ancora di poter
allenarmi ad esercitare un certo controllo sulla mia mente unicamente grazie alla forza di volontà. Se penso a quanti farmaci prendo ora so che era un’idea ridicola, vero dottore?
Sono rimasta a farmi fissare da lui tutta la notte. Più passava il tempo, meno il mio corpo rispondeva a gli input che il mio cervello tentava di dargli. A un certo punto ebbi la sensazione di aver dormito abbastanza e soprattutto che se avessi continuato a giocare con lui mi avrebbe ucciso. Provai a svegliarmi, ma il mio corpo
non rispondeva. Non riuscivo a muovermi, era come se delle corde invisibili mi ancorassero al letto. Il mio cervello strillava al mio corpo di reagire ma la connessione tra loro era chiaramente saltata. Ebbi un attacco di panico. Paralisi del sonno credo sia il termine tecnico, no? Mi svegliai solo perché mia madre iniziò a scuotermi
con forza. Ero in ritardo.
Dopo quell’episodio ho avuto sempre più problemi e ho visto sempre più specialisti, tra cui lei, ovviamente. Le dico senza vergogna che ho visto anche dei maghi, dei santoni e una volta anche una zingara. Qualche metodo ha funzionato per un po’, ma il migliore è stato quello che mi ha insegnato questo tizio che per vivere leggeva la mano e i tarocchi alle zitelle. Mi insegnò che per distinguere la realtà dal sogno basta cercare dei piccoli dettagli, soprattutto numeri, che mi facciano rendere conto che in realtà sto dormendo. Allora mi sveglio prima che l’incubo riesca ad intrappolarmi, e il caffè, i drink energetici e le droghe fanno il resto. Sono anni che non dormo mai più di dieci ore a settimana. Quindici, se sono fortunata.
So che morirò giovane se non risolvo in fretta questa cosa, solo che più vado avanti più peggiora. Ho sempre più sonno ma riesco a restare addormentata sempre meno. Secondo lei, quanti anni dovrei dormire per recuperare tutto il sonno che ho perso? Una volta avevo un ragazzo che si fece martire e dormii con me per tutta la durata della nostra relazione. Sapeva tutto e si offrì di tenermi d’occhio e di svegliarmi se avessi dormito troppo. In quel periodo le cose andarono meglio. Lui era attento e preciso, se nel sonno mi agitavo o dormivo per periodi di tempo sospettosamente lunghi mi svegliava immediatamente. Una notte però si addormentò anche lui e io dormii sei ore di fila. L’ombra mi venne a trovare, ma era in ritardo e non mi diede troppo fastidio. Al mio risveglio l’aria era pregna dell’odore dei nostri corpi addormentati. Sa, quell’odore particolare che emana la gente dopo una bella notte di sonno? Come di bucato caldo, sudore e aria stantia. È l’odore più buono che abbia mai sentito. Quando la mattina lui si svegliava per andare a lavorare io restavo sdraiata a letto ad annusare le lenzuola dove lui aveva dormito e allora riuscivo a illudermi d’ aver riposato bene anche io.
La storia tra me e lui finì una settimana dopo quella fantastica notte di sonno. Ci eravamo entrambi fatti prendere dall’entusiasmo. C’era qualcosa in quel metodo che stava funzionando. Quindi lui suggerii che mi lasciasse dormire più a lungo. Ogni notte venti minuti in più, finché non raggiungemmo le fatidiche otto ore di sonno consecutive. Solo che più restavo addormentata, più gli incubi peggioravano. Né io né lui volevamo cedere, però. La notte era terribile, ma di giorno ero quasi di nuovo un essere umano. La notte in cui dormii otto ore di fila sognai l’ombra senza occhi. Mi fissò tutto il tempo, finché alla fine non mi attaccò inizialmente tentando di strozzarmi, poi scagliandosi sui miei occhi. Ero certa che volesse rubarmeli perché lui non li aveva.
Lo respinsi con forza, ma lui continuava ad allungare le dita verso la mia faccia e sapevo benissimo che stava cercando di infilare un’unghia sotto il bulbo così da farlo saltare fuori dall’orbita e prenderlo. Credo che fu il terrore quella notte a riattivare la connessione tra il mio cervello e il mio corpo. Col tempo nel sonno avevo imparato a forzarmi a fare piccole cose. Scalciare, muovere il busto. Quello che bastava a far capire al mio ragazzo che doveva svegliarmi. Quella notte avevo così tanta paura che non solo fui capace di contrastare l’ombra, ma anche di morderle la mano e tirare con tutte le mie forze la carne via dalle dita con i denti, finché le falangette dell’indice e del medio si staccarono, facendomi sbattere con forza i denti. Mi svegliai con in
bocca quel che rimaneva delle dita del mio ragazzo che stava svenuto per terra in una pozza di sangue. Sputai fuori le dita e mi voltai per odorarmi una spalla. Non odoravo di sonno. Quello che avevo fatto l’avevo fatto da sveglia. In ospedale gli riattaccarono le dita e raccontammo che era stato morso da un cane. Gli fecero l’anti-rabbia e poi due mesi di riabilitazione per riprendere l’utilizzo delle dita che gli avevo staccato. Non mi denunciò mai. Non mi lasciò nemmeno. Lo lasciai io quando mi chiese di farmi benedire da un prete. Perché?
Non ne ho idea. Mi piace pensare d’averlo fatto perché lo amavo e non volevo metterlo di nuovo in pericolo, ma credo sia stato più perché non voglio che un prete mi tocchi.
Vuole sapere come funziona questa cosa dei numeri? Faccio attenzione a gli orologi, ai calendari e alle fasi della luna perché nei sogni non sono quasi mai coerenti. Gli orologi scorrono al contrario o saltano le ore e i calendari segnano giorni come il 31 di febbraio, proprio come il calendario dietro di lei adesso.
Credeva che non ci avessi fatto caso? Non le avrei detto nulla se non l’avessi visto.
di Giulia Renzi
Illustrazione di Giulia Renzi