È il primo venerdì di novembre. Alle pareti sono rimasti incollati dei disegni di zucche colorate male e ritagliate forse anche peggio, e i bordi della carta hanno già iniziato ad attorcigliarsi. D’altra parte, da una delle aule provengono i primi tentativi di intonare un canto di Natale. Silvia si siede al tavolo con il bicchierino di caffè fumante appena sceso dalla macchinetta. Gloria le è seduta davanti, a digitare velocemente sulla tastiera del pc con il suo solito sguardo impegnato. Silvia alza leggermente la testa, chiude gli occhi e pensa che anche questo diventerà un ricordo, e ne sente di già le prime spine nostalgiche. 

«Dormi?» le chiede Gloria.

«Magari. Sembrava che ottobre non dovesse finire mai.»

Silvia apre gli occhi e incontra lo sguardo cristallino di Gloria. Si sorridono.

«Ehhh io alla tua età…» Gloria sventola la mano oltre la spalla.

«Saltavi i fossi per il lungo, immagino.»

«Fai poco la spiritosa. Comunque sì.»

Silvia beve un lungo sorso di caffè e sente come se il suo cuore stesse ridendo.

«Che stai leggendo?»

Quella è piano piano diventata una domanda di rito, che Gloria le fa di solito ogni due settimane, e Silvia col tempo si è resa conto che la risposta che dà è sempre diversa.

«Giro di vite di Henry James. In realtà lo sto rileggendo perché la prima volta non lo avevo capito bene.»

«Non conosco. Di che parla?»

Anche quella è diventata una domanda di rito, e sebbene Silvia ormai se l’aspetti come prolungamento inevitabile della prima, rimane sempre un po’ spiazzata.

«È una storia di fantasmi. Ma in realtà i fantasmi non ci sono.»

«Chiaro!» esclama Gloria.

In quel momento dalle scale scende Eva. Si salutano tutte e tre. Eva e Silvia si guardano per un secondo di più e Silvia è costretta a distogliere lo sguardo lanciandolo verso la luce della porta, mentre con le mani non sa più cosa fare, allora si sistema le ciocche dei capelli dietro le orecchie. Eva e Gloria si scambiano qualche salamelecco che Silvia cerca di seguire, ma la sua mente si è srotolata come un gomitolo lanciato giù per la discesa. Eva si lamenta della stanchezza e si dirige verso la macchinetta del caffè. A Silvia piace che sia tornato un po’ di silenzio perché le permette di pensare e guardare.

«Ok, ora però mi hai incuriosita. Come può una storia di fantasmi non parlare di fantasmi? Non ha senso. Allora non è una vera storia di fantasmi, è una truffa.» le chiede Gloria.

«Non ho detto che la storia non parla di fantasmi. La storia parla un sacco di fantasmi, i personaggi ne parlano, ne diventano ossessionati. Ma il punto è che questi fantasmi non ci sono, non esistono.»

Silvia smette di parlare. Eva ha preso il caffè e si deve sedere, o meglio deve decidere dove sedersi. Silvia e Gloria hanno occupato due sedie che si fronteggiano, Eva può sedersi a capotavola tra di loro, ma è un’opzione da non considerare nemmeno. Può sedersi al capotavola opposto, ciò l’allontanerebbe, ma sarebbe una scelta comprensibile. Infine può sedersi vicino a Gloria, oppure vicino a Silvia. Le ipotesi sono queste. Eva arriva vicino alla sedia capotavola e rimane lì per un attimo, come sospesa, poi sposta il peso del corpo verso destra e le gambe seguono la direzione indicata; si siede vicino a Gloria.

Silvia si piega di lato per aprire lo zaino, proprio come quando era studentessa e la prof voleva interrogare, ma questa volta non lo fa perché si sente impreparata, anzi vuole dimostrare il contrario. Ma, tra le cose più urgenti, non vuole che le altre possano leggere i pensieri che le galleggiano sulla superficie degli occhi. Dallo zaino tira fuori una copia del libro, lo appoggia sul tavolo e ci passa una mano sopra. Ora si sente più sicura. Alza gli occhi e si impegna a guardare soltanto Gloria, ma come vorrebbe, oh come vorrebbe, spostare lo sguardo, anche di poco.

«La storia è questa. Siamo verso la fine dell’Ottocento. Ti devi immaginare una ragazza sui vent’anni, forse nemmeno compiuti, che viene assunta come educatrice in questa enorme magione immersa nei boschi. È la sua prima esperienza e si ritrova a dover fare da educatrice a due fratelli, maschio e femmina, che hanno perso da poco i genitori. È una situazione troppo delicata e lei è troppo inesperta. Inoltre non ha un sostegno da nessuno, non c’è il team docenti dietro di lei. È sola, lasciata a fare un lavoro che, oggi, è evidente non ha le competenze per farlo, ma a quei tempi invece era considerata adatta soltanto perché donna. Aggiungici anche che gli adulti intorno a lei sono stronzi. I camerieri le raccontano che prima che arrivasse lei, alla magione c’è stato amore travagliato tra una cameriera e il giardiniere. Mi pare, considera che l’ho letto la prima volta un po’ di tempo fa, quindi non mi ricordo bene. Fatto sta che questi due scappano ma annegano nel lago, quindi i camerieri sono convinti che i fantasmi dei due innamorati siano ancora lì, a infestare la magione. Raccontano sta storia a sta poveretta che si impressiona. Inizia a vedere cose che non ci dovrebbero essere, come persone che passeggiano su terrazze di edifici chiusi, in cui non è possibile entrare.»

«Allora i fantasmi ci sono.» dice Gloria.

Silvia sorride, di un sorriso che è più un ghigno, e si picchietta lentamente due dita su una tempia.

«Li vede lei. Un po’ perché è rimasta impressionata da queste storie, e ci sta, è giovane e inesperta. Un po’ perché è sola, giovane così in una magione immensa, con la sola compagnia di due bambini che hanno subito un trauma enorme e ancora non sono venuti fuori. Infatti il maschio è stato espulso dal collegio. E lei piano pian si convince che i fantasmi si sono impossessati dei bambini, perché è più facile per lei credere che il problema venga da fuori e che non abbia a che fare con lei, con la sua totale inesperienza. Perché? Perché è da una vita che le hanno fatto credere che essere donna implichi saperci fare con i bambini, che non ci voglia nient’altro.»

«Sono le undici.» dice Eva, lo sguardo rivolto all’orologio appeso al muro.

Allora le tre iniziano a muovere il corpo, con gesti lenti e stanchi, per raggiungere la posizione eretta. Silvia ripone il libro nello zaino, lo spinge sul fondo e le sembra che stia spingendo qualcos’altro. Prova la solita sensazione di non aver detto abbastanza o di aver detto le cose che non importavano. Gloria le sfiora la spalla con il braccio.

«Sarai una bravissima prof di italiano.» le dice «Devi solo convincerti a venir fuori da qui.» conclude con una risata che è tutta aria che esce dalle narici.

Silvia segue Gloria in classe e prima di varcare la soglia si volta indietro, ma il suo sguardo incontra soltanto l’atrio vuoto. 

Entra in classe giusto il tempo per salutare i bambini, accorgersi se ci sono quelli che le sono stati assegnati e uscire insieme a loro mentre Gloria dà istruzione di prendere il quaderno di religione a quelli rimasti. Fa strada ai suoi tre bambini – oggi ci sono tutti – verso l’aula insegnanti. I bambini fanno baccano, ridono, parlano ad alta voce, gli cadono dalle mani i quaderni, i libri, gli astucci e le borracce (le peggiori perché fanno un rumore tipo di campana, che ti rimane nelle orecchie anche quando è cessato); Silvia si vergogna perché li deve far passare davanti alle porte chiuse delle altre classi. Pensa che c’è qualcosa che avrebbe voluto dire a Gloria mentre Eva stava ad ascoltare, e cioè che le storie di fantasmi le piacciono proprio perché il fantasma rappresenta sempre qualcos’altro. Quando entrano in aula insegnanti non ha più tempo per pensare alle sue cose, dà dei disegni da colorare ai bambini, prova a fargli leggere e scrivere le prime letterine, che loro tracciano enormi, sbilenche, sbavate dal palmo della mano che ci è passato sopra troppe volte. Ahmed riesce a stare concentrato soltanto i primi due minuti, poi inizia a fare le pernacchie sventolando l’ascella come fosse un’ala di pollo e ride per cose che lasciano indifferenti gli altri due. Yasmine guarda Silvia con occhi che sembrano già adulti, la corregge se sbaglia a pronunciare una parola e ride quando le capita di balbettare; ma nella maggior parte dei casi la ignora totalmente come se avesse capito che in realtà è un’impostora, che non ha nulla di insegnare. Thiago non parla quasi mai se non per raccontare di quello che fa quando va con suo padre in Brasile, come andare a pesca di piranha sul Rio de Janeiro; altrimenti canta in continuazione con una vocina acuta e piena di risate. Thiago ha inoltre imparato a tracannare tutto d’un fiato la borraccia quando Silvia gli chiede di leggere, e lo fa con lenti sorsi rumorosi e gli occhi puntati al soffitto. Dopo di che va in bagno e ci sta per dieci minuti buoni. Anche oggi è andato in bagno, ci è rimasto più del solito e quando torna ha quel suo sorrisetto sornione e canticchia con le labbra strette.

«Thiago, tutto bene?» chiede Silvia con voce stanca.

«Sì, sì.» risponde allegramente il bambino.

Thiago si siede e riprende a colorare il disegno che ha davanti, senza smettere di canticchiare parole che Silvia non capisce.

«A loira do banhiero. A loira do banhiero. Lalalà.»

 Passano alcuni minuti in cui Silvia ha già ripreso Ahmed due volte.

«C’era qualcuno in bagno.» dice Thiago quando si convince di smettere di cantare «Una ragazza.»

«Sei andato nel bagno delle femmine?» dice Yasmine, che guarda il compagno con una sopracciglia alzata, poi guarda Silvia e scuote la testa.

«No che non ci sono andato. Sono andato in quello dei maschi. Ma c’era una ragazza. Ragazza ho detto, non bambina. Tipo lei.» indica Silvia con la mano aperta.

«Avrai visto una maestra, Thiago. Una maestra che accompagnava qualcuno che forse si è sentito poco bene e aveva bisogno di aiuto. Può capitare.» dice Silvia.

«Chi stava male?» chiede Yasmine, gli occhi le si accendono.

«Non c’era nessuno che stava male. Solo questa tizia bionda che stava ferma davanti allo specchio.»

«Bionda? Era la maestra Eva?» chiede Silvia.

Thiago la fissa, la sua faccia in una posizione neutra e rilassata sembra mogia per via del grasso sulle guance che fa scendere un poco i bordi della bocca.

«Thiago? Era la maestra Eva quella che hai visto?»

«Aveva la faccia tutta rossa.» si passa una mano sul viso.

«Era sangue?» Yasmine inizia a strillare, con una vocetta finta e acuta. Ahmed non ha capito nulla di quello che sta succedendo, ma inizia a strillare anche lui per non lasciarsi scappare l’occasione di poter fare casino.

«Calmi, bimbi. Calmi.» alza la voce Silvia «Thiago, sei sicuro? Lo hai detto alla bidella?» 

Lui continua a fissarla con quella sua faccia inespressiva, sicché Yasmine gli tira una gomitata, allora lui fa no con la testa con un che di contrariato. Silvia deve pensare subito sul da farsi. Certe volte vorrebbe prendere la porta e camminare, camminare e camminare senza fermarsi mai.

«Vado a dare un’occhiata veloce. Voi state qua.»

«Non puoi lasciarci incustoditi.» la rimbecca Yasmine.

«Bene. Andiamo tutti allora.»

«Io non ci vengo. Se vedo il sangue svengo.» 

«Non dovete entrare in bagno. Ci entro io e voi mi aspettate fuori. Ma devo andare. Se qualcuna si è ferita deve essere aiutata.»

Silvia si sporge con la testa, sperando di vedere la bidella, ma il corridoio è vuoto. Sente i denti che le si stringono in bocca, si fanno presenti e aguzzi. E se fosse davvero Eva? I bambini, per la prima volta dopo tanto tempo, sono in silenzio a guardarla; aspettano da lei una decisione. Fa un gesto con la testa e si ritrova a essere di nuovo capofila di quella strana ghenga. Superano porte chiuse, da cui provengono ancora infantili voci esauste intente a cantare inni natalizi. Anche la porta dei bagni dei maschi è chiusa. Silvia si volta e incontra di nuovo gli sguardi inespressivi dei bambini.

«Aspettatemi qui.»

Silvia apre la porta lentamente. La maniglia cigola in modo insopportabile, come se la porta stessa lottando contro di lei. Dentro il bagno è avvolto da un silenzio immobile. L’odore del detersivo è forte, quasi irritante.

«C’è nessuno?» domanda, ma la sua voce suona strana, più acuta, come se non fosse la sua.

Gli specchi, rigati e segnati dal calcare, riflettono la stanza in modo imperfetto. Ogni angolo sembra più lontano di quanto dovrebbe essere, come se la geometria stessa del bagno fosse sbagliata. Silvia si avvicina ai cubicoli, uno alla volta, e li apre con un gesto rapido, quasi rabbioso. Sono tutti vuoti. Proprio mentre si rilassa un po’, una porta cigola dietro di lei. Il cubicolo più in fondo, il primo che ha controllato, è chiuso. Lo aveva lasciato aperto, se lo ricorda bene. O si sta sbagliando?

«C’è qualcuno?» la sua voce è un soffio.

Silvia si avvicina a piccoli passi, il suono delle sue scarpe che echeggia contro il pavimento. Spinge la porta con un dito. Trova soltanto il wc, di un bianco sbiadito. Alle sue spalle dal lavandino aperto scende un flusso d’acqua potente. Silvia chiude il rubinetto con un gesto deciso. Si guarda intorno e in quel momento sente una risata. È leggera, lontana, quasi infantile. Si volta verso i bambini. Ahmed si tiene la bocca con entrambe le mani, le spalle sussultano nel tentativo di trattenere le risate.

«Ahmed, sei stato tu, non è vero?» chiede Silvia, più rassegnata che seccata.

«No, no.» dice Thiago.

«Non si è mosso da qui.» conferma Yasmine.

Silvia ha una strana sensazione, come se qualcuno le stesse soffiando piano sulle spalle. Dallo specchio oltre la sua spalla vede solo il suo riflesso, ma per un momento ha come l’impressione che i suoi capelli da castani quali sono, si schierichino verso il biondo, e la bocca le si contorca in un magma rosso infuocato.

Si volta di scatto; i bambini continuano a guardarla come se niente fosse. Solo Thiago sorride. 

«Te l’ho detto che c’era qualcuno» mormora.

«Torniamo in aula insegnanti, forza.» ordina Silvia, sorpassandoli.

Non si volta più indietro, percorre il corridoio a passo svelto e nelle sue orecchie i canti di Natale si fondono con la vocina irritante di Thiago: “A loira do banhiero. A loira do banhiero. Lalalà.”

Al suono della campanella uno sciame di bambini e di genitori si riversa all’uscita da scuola. Silvia guarda lo zaino verde militare di Eva che si perde tra la folla, farsi sempre più piccolo, fino a scomparire dietro un edificio. Si tira su la zip del giubbotto e con le mani in tasca si avvia anche lei. Incrocia la maestra Luisa, che si è fermata per pulirsi gli occhiali. Quando se li inforca la riconosce.

«Ciao! Come è andata oggi?» le chiede Luisa.

«In realtà ti diro…» Silvia si guarda intorno «Thiago si è comportato in modo strano oggi.»

«Ah ma quello è sempre strano, con la testa fra le nuvole.»

«Sì, hai ragione. Oggi però più del solito. Ha detto di aver visto una sconosciuta nel bagno dei maschi. Sono anche andata a controllare, ma non ho visto niente.»

«Si sarà immaginato qualcosa che ha visto al cellulare.»

«Vero. Poi si è messo a cantare, non so se fosse un mix di portoghese o di parole che inventava sul momento. Ma questo direi che è comprensibile visto che è per metà brasiliano.»

«Come metà brasiliano?» Luisa corruga la fronte.

«Beh, mi ha detto lui di avere il papà brasiliano e di essere andato in Brasile un sacco di volte.»

«Assolutamente no. Conosco entrambi i genitori, è gente nata e cresciuta qui.»

di Lucia Tradii

Immagine generata con AI

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