Mi piace Anna-Lou. Mi piacciono i suoi capelli che sanno di tutte le cose che ha attraversato, di strada, di pioggia, di fumo e anche del profumo degli altri. Mi piace l’odore dolciastro della sua pelle, soprattutto quando suda, adoro quei cerchi sotto le ascelle e il modo in cui cerca di nasconderli quando è a lavoro. Mi piacciono i peli biondi che ha sul viso, mi ricordano un’albicocca. Mi piacciono i mugolii che fa quando facciamo l’amore, il modo in cui strizza gli occhi quando è vicina all’orgasmo. Cerco sempre di guardarla in quel momento, se ha la faccia contro il cuscino la volto, se sta a quattro zampe mi avvicino io, se non riesco subito la supplico di aspettare. Anna-Lou ride alle mie suppliche e quando ride vengo io.
Senza volerlo le ho lasciato segni profondi sui fianchi e intorno ai seni. Le ho anche morso una spalla, l’ultima volta, il sapore del sangue mi è rimasto fra i denti per settimane e da allora non ci siamo più visti. Me l’ha chiesto lei, ha paura che la mangi. La mia alimentazione è l’unico vero ostacolo alla nostra relazione.
Anna-Lou è straordinaria. Non ha mai giudicato la mia faccia da lupo – pelo grigio, naso umido, orecchie e tutto il resto – si è fatta andar bene gli ululati notturni e la bava i giorni in cui aveva le mestruazioni.
L’unica cosa che si aspetta da me è che diventi vegetariano. Me l’ha detto la volta in cui mi ha chiesto di non vederci per un po’: «Guarda, Giulio, io non mangio carne da dieci anni, non posso impegnarmi seriamente in una storia se anche l’altra parte non ha intenzione di fare la stessa scelta di vita.»
Ci ho provato. Adesso mi concedo solo i polli, interi, presi dal macellaio; uso la bicicletta, un modello da donna, stando attento che la coda non si impigli nella ruota, e compro all’ortofrutta:tutto di stagione, come vuole Anna-Lou.
Torno alla gelateria dove lavora un venerdì pomeriggio con un mazzo di finocchi nel cestello della bici. Mi ricordo che le piaceva mangiarli sul letto a spicchi, me li chiedeva quando non aveva voglia di alzarsi dopo che avevamo fatto l’amore ma era affamata: «Che fame da lupo che ho», diceva ridendo, «Uuuuh!»
Anna-Lou sta servendo ai tavoli fuori e quando mi vede mi saluta con la mano. Fa caldo e la maglietta rossa che indossa lascia vedere perfettamente il segno del sudore.
È contenta dei finocchi che le ho portato, anche della bicicletta. Arriccia il naso quando passa una macchina e il puzzo dei gas di scarico ci investe. Non il tipo di incontro che avevo immaginato.
«Come stai?» mi chiede.
«Bene, bene», bevo l’odore che arriva e mi lecco i denti per mascherare la bava, «tu?»
«Stanca. Un’altra estate calda fuori dal normale.»
S’innervosisce quando pensa all’emergenza climatica, diventa scorbutica, cattiva. Una volta stavamo guardando un film, mi pare fosse Notthing Hill, e pianse per quella specie di piano sequenza in cui passano le stagioni mentre Hugh Grant gira fra i mercatini.Pensavo fosse commozione per la storia d’amore, invece disse: «Non esistono più le mezze stagioni.»
La chiamano da dietro il bancone e Anna-Lou si scioglie e ri-acconcia la coda. Le scappano i capelli più corti e sudati, restano appiccicati alla nuca.
«Devo andare, grazie di essere passato e per i finocchi. Li mangerò pensando a te.»
Il mangiare, unito a quel senso di fame inestinguibile che ho sempre nella pancia, mi fa venire voglia. Prima che se ne va, però, faccio in tempo a chiederle se vuole venire a cena da me venerdì.
«A cena o per cena?» ride lei.
«A cena.»
«Mh», piega la testa verso sinistra poi verso destra, «va bene, dai. Cucini tu?»
«Sì, ho imparato qualche ricetta vegetariana.»
«Addirittura!»
Ci salutiamo, diciamo insieme: «A venerdì!»
Anna-Lou fa sempre un sacco di rumore quando mangia. Mastica con ampi movimenti della mandibola, ingoia, spinge giù il cibo o l’acqua che sia con energia, lo accompagna spesso ad un hm. Non le va mai niente di traverso però, nonostante la foga, la ferocia con cui sfibra e frantuma. La guarderei mangiare tutto il giorno, tutta la vita.
Vorrei fare ad Anna-Lou quello che Anna-Lou fa al cibo. Succhiare i suoi capezzoli come lei succhia il torsolo dell’oliva.Non so se ne accorge mentre ceniamo, dal modo in cui allargo le narici, dal fatto che mi asciugo continuamente il muso e la bava.
La serata scorre tranquilla, lei ha portato del vino rosso e all’inizio scherza sul sapore, chiede se non sa troppo di sangue, se non mi smuove la voglia.
Ha ragione sul vino, mi fa pensare alla fame che ho di lei, della sua carne, per questo ne bevo poco e lascio che lo finisca Anna-Lou.
Si ubriaca subito, non ha mai retto particolarmente bene l’alcol, comincia a ridacchiare, diventa più spinta. Quando stavamo insieme mi infilava le mani nei pantaloni, faceva tutto lei, non voleva essere toccata, e poi si addormentava.
La lascio sul divano a pizzicarsi i collant sfilacciati e ridere di me che svuoto i piatti e ripongo nel frigo quel che è rimasto.
«Ma che fai?»
«La differenziata.»
Anna-Lou si stira tutta, come un gatto, ha le guance rosse e sembra sempre più un albicocca.
«Li hai mangiati i finocchi?»
«L’altra sera. E poi mi sono masturbata pensando a te.»
Dico niente, è ubriaca, ma lei continua.
«Mi manchi. Ti ho sognato spesso ultimamente, facevamo sesso in tutti i miei sogni.»
«Ed era una cosa brutta?»
«No, non finché non mi mangiavi.»
«Ti mangiavo?»
«Sì, mi riempivi di morsi, mi strappavi la carne pezzo per pezzo. E il fatto è che a me piaceva anche», sospira, «vorrei che tu mi pensassi come un cavolfiore.»
«Come?»
Piange, dice che l’emergenza climatica le toglie il sonno.Fa anche questo quando è ubriaca, straripa, ma è tenero il suo piccolo corpo che trema e singhiozza, inconsolabile. Mi ricorda un’altra volta che ha pianto così, sempre perché aveva bevuto, ma lei disse che era colpa mia che avevo inavvertitamente rovesciato la sua piantina di girasole e, nel panico, l’avevo poi pestata.
«Ma perché lo metti qui, non è ovvio che lo posso far cadere?»
«Col cazzo che è ovvio! Sei tu che non ti sai muovere, sei enorme, stai attento! Mi pesti sempre i piedi quando usciamo, sei goffo! E poi fuori piove, dove lo devo mettere un girasole? È un gira-sole non un gira-tempesta!»
Il vino, quello rosso, quello che sa di sangue, l’ha sempre resa indifesa, anche questa sera.
«Ti mangi gli animali», mugola, «ti mangeresti pure a me. È una cosa cattiva.»
Si alza e si comincia a sbottonare la camicetta, che abbandona sul bracciolo del divano sudata e stropicciata. Non porta il reggiseno, preferisce così, anche perché ha un seno piccolissimo che sparisce nella mia mano.
«Che fai?»
«Ho caldo, non lo senti che caldo che fa? L’aria è umida, dovresti aprire le finestre.»
Lo faccio, faccio quello che vuole purché non vada via. Spalanco le persiane, fuori si respira l’odore asciutto delle cucine degli altri, cene che non sono la mia, più grasse, rosolate nel burro, soffritte nell’olio. Mi allargano le narici.
Dalla mia stanza sento il rumore della rete e anche se non la vedo me la immagino: Anna-Lou, che si lascia cadere all’indietro a braccia larghe, che impregna di sudore le mie lenzuola.
La raggiungo di corsa, sbattendo contro lo stipite della portafinestra e poi contro la credenza all’ingresso. Il rumore di suppellettili rovesciati la fa ridere.
«Sei il solito!» commenta.
È quasi nuda, si è tenuta solo le mutande, rosa, semplici, le hanno sempre dato fastidio quelle ricamate, i tanga, fili in mezzo al culo li chiamava.
Intreccia le gambe poi le distende, ridacchia «Almeno il tuo letto è freddo.»
Mi siedo, cauto, le chiedo se vuole restare a dormire.
«Che ne so», dice, «vieni più vicino.»
Quando mi metto lungo accanto a lei provo a toccarle i capelli, spettinati, sudati intorno alle tempie e dietro la nuca, come li preferisco. Quando sono sporchi emanano un odore più deciso.
«È bello che fai la raccolta differenziata!» dice «E ho visto che hai comprato il sapone solido per il bagno.»
Mi guarda con gli occhi grandi, affamati, e si piega su di me con la bocca socchiusa. Prego che mi morda, che affondi i suoi piccoli denti bianchi nella mia faccia senza pensare alla pelliccia.
Invece mi bacia. Anna-Lou è troppo buona per mordere come per mangiare le cose vive.
«Facciamo l’amore» dice, e penso che questo sia il suo modo di portarmi più vicino al suo stomaco, di sfamarsi.
La guardo un momento alla luce dell’abat-jour, voglio capire se è ubriaca.
«Sto bene», insiste, «vedi che sto bene? Non sono neanche più rossa.»
In realtà rossa lo è ancora, è eccitata e lenta ma non molle come sarebbe se fosse zuppa di vino.
Acconsento solo per questo, e perchéla cena che pure ho preparato con grande amore non mi ha saziato, s’è squagliata nella pancia, è risalita e mi ha seccato la gola, mi ha fatto venire voglia di Anna-Lou.
Lei è seria quando si sfila le mutande e apre le cosce; serissima quando mi dice all’orecchio che, se voglio, posso darle dei morsi piccolissimi.
Le lascio una corona di buchi intorno alle spalle, lei non dice nemmeno ahi, geme un tantino più forte, lo trova tollerabile. Seguo con la lingua fuori dai denti la sua schiena che si inarca, la pelle tesa e sudata, morbida.
E mentre la mordo lei stringe le gambe intorno ai miei glutei, mi tiene dentro, si muove avanti e indietro e non l’aveva mai fatto prima. Si è sempre aperta, umida e calda com’è adesso, ma questa è la prima volta che mi risucchia, rilassando e contraendo i muscoli, e mi pare che mi porti sempre più in fondo, più vicino allo stomaco.
Penso con terrore che mi manca il respiro, me lo sta rubando Anna-Lou. Lo prende sulle labbra e lo inghiotte e quando la supplico di fare piano, di fermarsi e lasciare che sia io a scoparla, dice no, dice: «Sennò mi mangi.»
Le ho imbrattato la faccia di saliva ma lei non ci fa caso, ci passa la lingua sopra, se la porta in bocca.
Penso che Anna-Loumi piace proprio tanto, che potremmo sposarci, anche se mi strappa la vita un poco per volta.
«Ti mangio.»
Ride e la sua risata la bevo tutta.
di Maria Sole Cusumano
Foto di Urbex_Footsteps