Non avrei indossato il solito giubbetto. Dovevo andare dalla nonna, per cui dovevo vestirmi bene. Decisi che avrei indossato il cappottino rosso, quello più elegante.
Ma come ti sei vestita bene oggi Gioia, e che bei capelli! Ecco un regalino per te, amore di nonna sua.
Ci teneva a me la nonna. Mi regalava duemila lire ogni volta che andavo a trovarla. Io le conservavo in un vecchio barattolo di concentrato di pomodoro che avevo nascosto nell’armadio e ogni tanto, quando non ce n’entravano più, mi concedevo qualcosa. Un libro, qualche fumetto in edicola, una pizzetta al bar del paese. Tuttavia temevo di approfittarne, così ogni volta che dovevo andare a trovarla passavo dalla signora Maria, la fioraia, e compravo un bel mazzo di fiori da regalarle.
“Oggi ci sono i ranuncoli bianchi, vanno bene Gioia?”
“Sì, signora Maria. Grazie.”
“Attenta che sta per piovere. E salutami la nonna!”
Attraversai la piazza sorridendo tra me e me. Aveva iniziato a piovere, ma non mi importava. Indossavo il mio cappottino elegante, i fiori erano perfetti e niente avrebbe potuto rovinare quel sabato pomeriggio perché la nonna mi aveva fatto una promessa. Mi aveva promesso che me l’avrebbe insegnato. Finalmente avrei potuto difendermi da sola.
La casa della nonna si affacciava sulla piazza principale del paese, aveva le finestre grandi per illuminare bene le stanze dai soffitti altissimi e bisognava salire una scala molto ripida per raggiungerla.
Davanti al portone c’era un largo patio dove in estate giocavo con i miei cugini mentre la nonna ricamava il mio nome sui grembiuli per la scuola e le tovagliette per il pranzo. Quando facevo i capricci, mi faceva sedere accanto a lei e posavo la testa sulla sua pancia.
Mi accarezzava i capelli mentre sussurrava formule magiche e io mi addormentavo. Poi mi svegliava e mi dava da bere due cucchiaini di caffè freddo zuccheratissimo allungato con l’acqua. Io ero felice e andava bene così.
Quel giorno invece era pieno inverno, ero rientrata a scuola da pochi giorni dopo le vacanze di Natale e li avevo trascorsi a piangere come una fontana. Così telefonai alla nonna. Vieni da nonna Gioia mia… ci penso io a te.
Pioveva forte quando raggiunsi la casa. I ranuncoli non si erano rovinati troppo, i petali erano ancora sodi e luminosi per cui li porsi alla nonna che li mise subito nella brocca di ferro smaltato rossa, al centro del tavolo della cucina. Era lì che si svolgeva tutto, nell’armadietto sotto il lavello c’era l’occorrente. Io tolsi il cappotto fradicio e la nonna lo mise ad asciugare davanti al fuoco, poi sedetti al mio posto accanto alla finestra sul mare.
“Dai nonna cominciamo…”
“Aspetta aspetta. Devo fare una cosa prima…”
“Oh nonna me l’avevi promesso! Non è giusto!”
“Aspetta Gioia, ti ho promesso che te lo insegno e così sarà. Solo che prima devo fare una cosa. Prendimi le forbici di ferro, quelle che uso per il filo.”
Andai nella sua stanza a passi pesanti e presi le forbici dal cassetto della macchina per cucire. Con estrema lentezza mi avviai di nuovo in cucina perché avevo deciso di farle dispetto, ma lei lo capì e mi sgridò.
“Se ti sbrighi, prima me le porti, prima finisco…”
“Ma si può sapere che ci devi fare mo’ con le forbici?”
“Siediti e guarda.”
Sedetti di nuovo al mio posto accanto alla finestra e guardai verso l’orizzonte polveroso. Una lunga coda grigia spuntava dal cielo e si infilava nel mare in un turbinio di acqua e vento.
“La vedi quella tromba d’aria? Adesso la tagliamo.”
Cresceva sempre di più e cominciò a muoversi verso la costa. Non avevo mai visto una cosa del genere e mi fece paura. Immaginai di trovarmi lì in mezzo al mare e di essere risucchiata da quel vortice di sale e aria, ma la voce della nonna mi riportò sulla sedia in cucina. Sussurrava le sue parole magiche e apriva e chiudeva le forbici a mezz’aria, come se la tromba d’aria fosse un filo di troppo su una cucitura, da tagliare via. Durò qualche minuto e aumentò il tono di voce finché, in uno sbuffo d’aria, il cielo dissolse la sua coda e il mare tornò tranquillo. Aveva un po’ d’affanno la nonna, come se avesse trattenuto il fiato per tutto il tempo. Così si sedette di fronte a me e bevve un bicchiere d’acqua.
“Hai visto come si fa Gioia mia? Poi lo dovrai fare anche tu, un giorno, quando non ci sarò più. Ma veniamo alla promessa che ti ho fatto: perché vuoi che ti insegni quella cosa?”
Raddrizzai la schiena e decisi che con la nonna era meglio essere sincera. Tanto lei avrebbe capito tutto comunque.
“C’è una a scuola che mi maltratta sempre. Mi prende in giro perché ho i capelli ricci, no? E quando piove e fa umido si gonfiano un po’… ha detto a tutti i nostri compagni di classe che mi devono chiamare “scopettino”, perché dice che somiglio allo scopettino del bagno…”
Ricordo che mi salirono le lacrime agli occhi. Mi vergognavo persino di raccontarlo a mia nonna, tanto sanno essere cattivi i bambini a volte. Così la nonna mi prese in braccio e mi baciò cullandomi, come quando ero piccininna. “No amore di nonna, non piangere! Non ce n’è bisogno…sai che penso? Penso che quella è proprio invidiosa dei tuoi capelli. Quella ce li ha lisci e pisciati come la mamma! I tuoi invece sono belli voluminosi, neri e brillanti. Vai. Sai dove sono le cose, prendile.”
Eccitatissima mi precipitai sotto il lavello a prendere tutto l’occorrente per il rito. Finalmente avrei imparato a farlo anch’io.
La nonna nel frattempo aveva spostato il tavolo e le sedie, e col sale tracciò un cerchio sul pavimento.
“Hai portato qualcosa, vero Gioia? Qualcosa della tua compagna di scuola, sì? Brava amore di nonna…”
Le porsi un fiocchetto giallo che avevo rubato a quella stupida durante la ricreazione. Adesso l’avrebbe pagata cara, avrebbe dovuto vedersela con la nonna. E guai a chi avesse osato ancora prendermi in giro. La nonna si inginocchiò e io feci lo stesso, mi posizionai di fronte a lei e chiusi gli occhi.
“Non ti spaventare Gioia, qualsiasi cosa sentirai non avere paura. C’è la nonna con te. Ascolta bene la formula e ripetila appresso a me…”
Il giorno dopo la mia compagna di classe non venne a scuola, e nemmeno nelle settimane successive. Si vociferava che durante la notte le fossero caduti tutti i denti e i capelli. La portarono a visita da medici illustri, si diceva che l’avessero portata anche a Napoli, ma niente. I capelli alla fine le rispuntarono dopo qualche mese, ma i denti non le ricrebbero più e ora con la sua bella dentiera, abbassa la testa quando ci incrociamo per strada. Io, però, non ho più paura di lei né di nessun altro, perché la nonna mi ha insegnato tutto. So bene come difendermi.
di Giulia Maestri
Foto di Urbex_Footsteps