a cura di Giulia Massetto
Quando mi sono imbattuta nel podcast di Marica, il pensiero di intervistarla è nato fulmineo e spontaneo. Il criterio che ha adottato l’autrice per il suo “Mentre morivo”, infatti, è quello di affrontare casi di cronaca nera – molti italiani – nei quali la donna, vittima, è rimasta senza giustizia.
Ho trovato questo obiettivo molto nobile, così come nobile è la delicatezza con cui Marica, con la sua voce, fruga fra le pieghe del tempo e delle fonti per proporci le dinamiche di storie più o meno note.
Coven Riunito stringe forte la sua mano, quindi, alla conoscenza di Marica, che ringraziamo per averci
dedicato un po’ di tempo e un po’ di sé.
G: Ciao Marica, grazie per aver concesso un po’ di tempo alla nostra congrega! Innanzitutto, come stai?
M: Ciao, e grazie a voi di avermi voluta intorno al fuoco! Sembra una domanda semplice ma in realtà non credo possa esserci una sola risposta, sto bene, sto provando a ripetermi in questo periodo di stare bene e che va tutto bene. Sono una millennial semplice, quindi mi faccio spesso sopraffare dall’ansia, ma siamo qui, viviamo e lottiamo, no?
G: Marica Esposito, segni particolari? Hai qualche passione particolare, oltre che per il true crime?
M: Assolutamente la cucina! È un mix molto interessante perché spesso le community si intersecano senza accorgersene: c’è chi mi segue in entrambe le vesti eppure ricollega solo molto dopo che… sono la stessa persona (o magari l’ha scoperto solo adesso!) Però decisamente sì, amo cucinare ed è una parte preponderante del mio lavoro, e poi sicuramente l’arte, il cinema in particolare.
G: Veniamo al tuo lavoro. Ho trovato subito interessante il battesimo del tuo podcast, “Mentre morivo”, che poi, grazie alle intro dei tuoi episodi, ho scoperto essere un libro. Immagino che questa lettura abbia avuto un’importanza particolare per te… Ti va di raccontarci qualcosa di quest’opera? Com’è nata l’idea di chiamare così il tuo progetto?
M: Be’, Mentre Morivo di William Faulkner è un classico di un tipo di gotico molto specifico, racconta del viaggio della famiglia Bundren, poveri contadini del Mississippi, che a bordo di un carretto devono
trasportare – non con poche difficoltà – il corpo della mamma Addie, verso la sepoltura che la attende nel suo luogo di nascita. L’intreccio è particolare, triste e a tratti grottesco, ma quello che mi ha sempre colpita è stata una frase nello specifico, quella che cito nell’intro del podcast: “Mio padre diceva che la ragione per cui si vive è prepararsi a restare morti molto a lungo”. È stata una folgorazione perché mi ha ricordato vividamente come mi sentivo da piccolissima, al mio primo contatto con questa parte così naturale della vita eppure così inspiegabile. Quando è morta mia nonna paterna non riuscivo a togliermi dalla mente che sotto terra, nella sua bara, e tutta sola, probabilmente si stava annoiando tantissimo. È una considerazione sciocca, ora lo so. Ho voluto dare questo titolo al podcast proprio perché credo che in fondo non si muoia mai davvero, finché restiamo vivi nella memoria di qualcuno, e allora quelle donne, “le mie” donne, si meritano almeno questo. Infine, a sua volta Faulkner si è ispirato a un passaggio dell’Odissea, quello in cui Agamennone ricorda che “mentre moriva” non aveva ricevuto pietà nemmeno da sua moglie. Trattandosi di donne uccise, spesso da chi diceva di amarle, lo trovo un titolo quantomai azzeccato.
G: Ammetto che il criterio che hai adottato per affrontare i casi che proponi mi commuove. Cosa ti ha
spinta ad eviscerare e approfondire esclusivamente vicende dove le vittime sono donne, e sono rimaste senza giustizia?
M: Ho iniziato ad appassionarmi seriamente al true-crime, e credo sia un’esperienza comune, intorno al 2020. Eppure sentivo che l’interesse era sempre concentrato verso chi il crimine lo commetteva (i
cosiddetti “mostri”, gli “orchi”, i killer) meno spesso c’era attenzione alla vittima. Bisogna ricordarsi però, al di là della fascinazione verso il male che è naturale provare, che i protagonisti delle storie di violenza sono e devono rimanere le persone che quella violenza, loro malgrado, l’hanno subita. Da lì il passo è stato breve, perché adoro le donne, sono fiera di far parte di questa sorellanza globale che in qualche modo sottile ci unisce tutte, e mi ha sorpresa scoprire che tutte le donne di cui parlo hanno lottato strenuamente per vivere. Tutte, in un modo o nell’altro, si sono ribellate fino alla fine, hanno fatto sentire la loro voce, la loro presenza, e allora come diceva Murgia “mai più zitte”. Ricordarle è il mio piccolo riverbero. E poi sono ariete, le ingiustizie non posso proprio sopportarle! Spero che ogni caso, un giorno, possa avere la sua risoluzione.
G: Non posso non chiederti: c’è un aspetto, un fattore, una variabile che, mentre ricerchi il materiale e lo metti insieme, accende in te una voglia spasmodica di scavare nella vicenda che andrai a raccontare? Ad esempio, sparizioni, elementi di magia, dinamiche settali… In parole povere, cosa ti intrippa di più?
M: So che suona strano, ma non saprei dirtelo, è come se mi chiamassero. Io sono una persona molto
razionale eppure credo di avere una certa sensibilità, un’empatia che da sempre mi ha condizionata (e non sempre in positivo). E allora in genere i casi – ne leggo tantissimi, guardo documentari approfondisco anche solo per diletto – arrivano da me e si accendono quando, in qualche modo, mi arrabbio. È un fuoco che inizio a sentire dentro e a quel punto non c’è possibilità che io non ne parli: forse in questo senso il podcast è più uno sfogo mio, intimo, prima di essere un prodotto di “intrattenimento” per gli altri.
Certamente le sparizioni sono quelle più inquietanti e che mi lasciano intrippata, come dicevi tu, perché la voglia di improvvisarsi detective e risolvere il mistero è irresistibile.
G: Ti senti una “donna scura”? Per affrontare certe tematiche secondo me ci vuole una certa
predisposizione, una sensibilità, ma anche una “zona d’ombra”… Cosa ne pensi?
M: Mi sento scurissima. Sono stata un’adolescente cupa, sono entrata nell’abisso e fino a qualche anno fa non avrei scommesso una lira bucata che ne sarei uscita… e per di più con il sorriso. Sì, penso anche io che in qualche modo bisogna aver vissuto il dolore e averlo anche accettato in ogni sua forma, per poter raccontare quello degli altri senza superficialità.
G: Uno dei più grandi misteri italiani è il protagonista della tua puntata zero. Anch’io ho creato un video approfondimento su quella vicenda (facendo un po’ un pasticcio, lo ammetto) e ho avvertito subito una certa affinità con te. Perché, secondo te, la vicenda di Elvira Orlandini è così magnetica?
M: Forse proprio perché sembra una favola oscura in cui ci sono tutti i topos del genere: una piccola
comunità, una ragazza senza macchia ammirata ed invidiata che chinata finisce di cucirsi il corredo per le nozze, il mistero di un movente poco chiaro e infine l’indagine mai approfondita. Credo che Elvira sia un po’ tutte noi, la sentiamo vicina, e così la sua ingiustizia è anche la nostra.
G: Non ho mai creduto che questa tipologia di podcast sia solo intrattenimento. Per te, qual è l’obiettivo primo del tuo lavoro? Perché le persone ti ascoltano?
M: Credo che di Mentre Morivo si apprezzi l’assenza di morbosità, o almeno il mio intento è quello. Non voglio raccontare i dettagli di un fatto truce, ma la persona che era viva, prima di ritrovarsi a morire per mano di qualcun altro. Spesso le storie di true-crime sembrano ambientate in uno spazio “altro”, come sospese nel vuoto, e invece a me piace ricordare il momento storico, il background culturale, anche la musica, perché è quella che ascoltavano quelle donne. Non credo di avere un obiettivo finale, se non quello appunto – di lasciare un’eco che aiuti a far rivivere ancora e ancora il loro ricordo. Dico sempre che vorrei, prima o poi, finire le storie. Che le donne smettessero di venir uccise e che Mentre Morivo diventasse improvvisamente un podcast inutile senza nulla più da dire. Purtroppo non credo arriverà mai quel momento.
G: C’è stato qualcosa, un caso o qualche dettaglio scoperto nelle tue ricerche, che ti ha tolto il sonno?
M: Tante, ma in particolare qualche anno fa, leggendo degli approfondimenti sul caso di Heather Barnett, mi resi conto che a poche strade di distanza c’era stata un’altra donna uccisa: Jong Ok-Shin. Oggi sappiamo che Heather fu ammazzata dal suo dirimpettaio, Danilo Restivo, l’assassino anche di Elisa Claps, ma per il caso di Oki è stato condannato un altro uomo su cui però ci sono moltissimi dubbi e io ho paura possa essere sempre lui. Non solo, per quel poco che mi intendo di criminologia mi sono convinta che una mente criminale come quella di Restivo non può colpire solo due volte in dieci anni… l’ipotesi che abbia ucciso altre donne di cui non sappiamo nulla mi tormenta. Così come mi tormenta la sparizione di Cristina Golinucci e la forza incredibile di sua mamma Marisa che non si è mai arresa e che vorrebbe almeno, cito, “ritrovare solo le ossa”.
G: Cos’è, per te, l’orrore vero nel campo del true crime?
M: Gli orrori sono tanti, forse ricollegandomi all’ultimo caso trattato, quello di Irene Garza, mi viene da dirti “chi sa e non parla”, o peggio, chi agisce attivamente per depistare e coprire. La storia di Irene è stata risolta, sì, ma dopo quasi 60 anni e il suo assassino ha scontato in carcere pochi mesi… non credo si tratti di vera giustizia, soprattutto perché in tanti hanno operato per proteggerlo. Come dire, affinché il male trionfi c’è solo bisogno che i buoni non facciano nulla.
G: Vuoi raccontarci qualcosa anche su NAP, l’altro progetto che segui?
M: Intanto incredibilmente su NAP si ride. Anche se si chiama “Non un altro podcast true-crime” (NAP è una parte di acronimo) in effetti c’è spazio per la cronaca, ma non solo, perché in coppia con il mio compagno abbiamo unito il piano reale con quello soprannaturale. Perché fermarsi a un solo tipo di orrore, no? (Rido) È un podcast molto diverso da Mentre Morivo, e dove forse viene fuori un po’ più di me. Abbiamo scelto di suddividerlo in tre parti: nella prima io mi occupo di raccontare un fatto misterioso ma realmente accaduto, e nell’ultima Stefano parla di occulto ma chiaramente senza prendersi troppo sul serio. Il suo motto è “non ho fonti attendibili”. Infine nel mezzo lasciamo spazio agli ascoltatori che ci raccontano, sotto forma di nota vocale, un fatto inspiegabile e sovrannaturale che gli è accaduto. Non ci crederai, ma a quanto pare il mistero permea le vite di tantissimi… Mi sta dando molta soddisfazione, sono molto fiera di essere riuscita a creare qualcosa di nuovo in un panorama che sembrava saturo, e sono anche contenta di vedere che il riscontro è positivo!
G: Hai un messaggio per chi ti ascolta nei tuoi podcast? Hai un messaggio per tutte le streghe di Cover
Riunito?
M: Sì, per tutte: non pensate mai di essere esagerate, non arrendetevi a chi vi dice che “l’amore è
litigarello”, o che i panni sporchi vanno lavati in casa. Chiedete aiuto al primo schiaffo, al primo tentativo di distruggere la vostra autostima, a qualsiasi risposta violenta o anche solo intimidatoria. Se nella vostra pancia sentite che qualcosa non va, fidatevi di quella sensazione. Meglio pensare di aver reagito in modo eccessivo che finire in un podcast true-crime. Prendetevi cura di voi.
Ti ringrazio, Marica, per esserti raccontata. Colgo questa preziosa occasione per esprimere la mia personale
stima verso il lavoro che fai, perché la dedizione che traspare dalle tue narrazioni arriva dritta al cuore.
Invitiamo tutti coloro che ci seguono e amano il genere ad ascoltare “Mentre morivo” sulle piattaforme
d’ascolto, per conoscere storie sospese di donne, ragazze e bambine che con ogni probabilità non
conosceranno mai il vero significato della parola “fine”.
E, di nuovo, grazie Marica per far sì che queste persone non cadano nell’oblio.