♫ “Mr. Kitty” After Dark
Offro il mio viso alla luce della luna, e come non mai sono consapevole dei suoi raggi sulla mia pelle di seta, che accarezzano il mio corpo con la complicità di un amante e la delicatezza di una mano che
nutre e dà vita. Dal terrazzo del mio appartamento, il suo riflesso dorato si riversa nel soggiorno,
agghindato con fiori e candele per il mio ospite di riguardo di stasera.
Nella mia condizione, è meglio che sia devota a questa padrona spietata e insieme dolcissima, anche
se non sempre ciò che mi chiede è ciò che vorrei. Anche se soddisfare lei solo a volte equivale a
soddisfare me, altre volte mi rende come prigioniera in una gabbia d’oro che vorrei tanto scardinare
ma è parte di me da quando sono stata concepita.
Sul pianoforte, in un angolo, un mazzo di rose rosse fa capolino, offrendo i petali vermigli alla luce
lunare, come un sacrificio di sangue.
I miei piedi nudi danzano sul parquet immacolato, seguendo i complicati passi del rituale di
protezione con cui incanto la stanza. Parole antiche affiorano alle mie labbra, e la magia che spargo
tutto intorno riverbera in scintille dorate sospese nell’aria che solo io posso vedere.
Aggiungo un pizzico di polverina azzurra al composto che bolle sulla mia modernissima cucina ad
induzione, nulla di così prosaico o scontato come un pentolone sul camino e la strega bruttissima che
rimesta nel paiolo. Niente gatto nero e niente bitorzolo sul mento.
Perché in realtà la strega ci sarebbe, ma non la riconoscereste di certo nel riflesso che mi offre la
cappa della mia cucina, di acciaio lucidato a specchio, in questa bellezza dai capelli fulvi che
scendono sulle spalle in morbide onde, con un corpo che farebbe impallidire le più belle donne del
jet set e far fare pazzie agli uomini più importanti del pianeta, e, per contrasto, due grandi occhi blu
in un viso da madonnina che sembra quanto di più ingenuo e delizioso ci possa essere al mondo.
Ma come sempre, le apparenze ingannano, e sorrido, mentre aggiungo un paio di petali di rosa rossa
alla mia pozione – perché è proprio di questo che si tratta – e premo il pulsante di spegnimento.
La mia cucina è sempre impeccabile, e ammiccando alla mia immagine riflessa, mentre rimetto a
posto uno dei miei riccioli ribelli sfuggito al fermaglio di strass, non posso pensare ad altro che a te,
destinatario di tutti i miei sforzi per far sì che le nostre vite siano finalmente incatenate. Perché non
dovrebbe esserci niente di più facile, per una strega di quasi millecinquecento anni, che creare un
filtro d’amore che leghi qualcuno a lei per sempre.
È questo che fanno le streghe, no?
Ma tu no, tu sei diverso, e resisti a tutti i miei tentativi di averti, in qualsiasi modo, come se fossi
immune alle mie magie. Ci ho provato, con filtri, polverine, erbe e spezie, con ricette millenarie tratte
dal Grimorio che appartiene alla mia famiglia da generazioni, senza ottenere il minimo risultato. Ho
attinto a tutto il mio sapere, a tutto il sapere ancestrale del mio mondo, prima di giocare l’ultima carta
che mi rimaneva, chiedendo aiuto a una magia così antica e oscura che non so ancora quale prezzo
esigerà in cambio.
Ma io sono pronta a tutto, per averti.
Tu, l’unico essere mortale che resisti alla mia potentissima attrazione. Ma so che non è così,
ovviamente, è impossibile che sia così, e mi preparo ad avere la mia rivincita, stasera, quando
finalmente cadrai fra le mie braccia.
Non sono abituata a sentirmi negare qualcosa, e ciò costituisce già di per sé la più irrinunciabile delle
sfide. Ho avuto qualsiasi cosa volessi senza il minimo sforzo. Uomini forti, uomini potenti, uomini
importanti sono caduti tra le mie braccia senza che avessi nemmeno il tempo di desiderarlo veramente, e tu non farai eccezione. Stasera, sarai mio.
E se così non fosse, se anche resistessi a questo mio ultimo tentativo – ma rido, tra me, sapendo che
mai si verificherà una simile evenienza – allora ti consegnerò all’oblio eterno.
Perché ho deciso che non potrai essere mai di nessun’altra, se non mio.
L’ultimo ingrediente che aggiungo sfrigola e incendia il composto, solo per un attimo.
Potrò anche non essere riuscita nei miei filtri d’amore finora, ma quelli di morte sono la mia specialità.
Verso il liquido ambrato in un calice, e ne preparo uno simile per me, tanto non ho bisogno di farti
capire che bevo la stessa cosa, sai benissimo che sono astemia. E la pozione è camuffata troppo bene
da un’ottima crema di whisky aromatizzata al cedro e bergamotto, perché tu possa riconoscerne
l’inganno. Come per tutte le streghe, l’arte culinaria e la preparazione di cocktail non hanno segreti,
per me.
Il trillo del campanello, un’ultima occhiata al grande specchio dell’ingresso – ma quando mai ho
dubitato del mio fascino? – ed eccoti sulla porta, splendido, regale, come solo tu sai essere. I tuoi
occhi verdi scintillano come smeraldi nella penombra della mia anticamera, e mentre ti chini a
sfiorarmi delicatamente una guancia, penso che prestissimo non vorrai fare altro che baciarmi e
strapparmi di i vestiti di dosso, come se fosse il fine ultimo della tua vita.
Sorrido, ancora, e ti lascio entrare.
Ti accolgo nel mio salone, sul divano di pelle nera che è cornice perfetta al nostro incontro. Il fuoco
arde nel camino, ti togli la giacca e ti accomodi accanto a me. Ti lancio sguardi di fuoco, ammaliante
e seduttiva, mentre accavallo le mie lunghe gambe sotto la gonna di seta color porpora, con uno
spacco vertiginoso che ne scopre una generosa porzione.
Parliamo di cose semplici, mi racconti della tua giornata, mi chiedi della mia.
Ti porgo il calice con un sorriso, tu lo prendi sfiorandomi le dita, e una specie di strana elettricità
passa dalla punta delle tue dita alle mie.
Non so proprio perché tu mi faccia questo effetto, ma sarà questione di minuti, e sarai in mio potere.
Sarai tu ad essere pervaso dalla fonte della mia magia, sepolta bene sotto strati e strati di indecorosa
perfezione, riscaldato dal fuoco delle mie braci che non sono affatto sopite, sotto lo sguardo innocente
e gli occhi puri. Bevi, avidamente, mentre io sorseggio la mia bevanda guardandoti da sopra l’orlo
intarsiato del calice rosso rubino.
Posso aspettare.
Spero solo, davvero, che non sia la morte, ma l’amore, a reclamare il suo tributo, questa sera.
In qualsiasi modo, ciò che è stato iniziato va compiuto. Ciò che ho iniziato.
Ma tu sorridi, ancora, mentre finisci la pozione, ed io aspetto, aspetto che i tuoi occhi si velino e sul
tuo viso sia dipinta la bramosia incontrollata di avermi tutta per te.
Solo che non è così.
I tuoi occhi sono gli stessi di sempre, scintillano di ironia mentre mi descrivi la tua ultima, brillante
operazione in Borsa… e non capisco cosa mi succeda, forse senza avvedermene ho aggiunto un po’
di whisky anche nel mio bicchiere, perché mi gira un po’ la testa e mi sento strana, incorporea,
leggerissima, come sospesa su una nuvola…
Poso il mio calice e cerco di alzarmi, ma barcollo, lievemente, e tu sei subito lesto a sorreggermi,
prendendomi fra le tue braccia forti e deponendomi sul divano, mentre le tue labbra si piegano in un
sorriso strano che non ti riconosco.
«Che c’era nel mio calice, Isadora?»
La tua voce suadente riverbera dentro di me con l’impeto di una tempesta. Perché mi chiami con il
mio vero nome, quello che solo le consorelle del Sabba conoscono e che nessuno ha l’ardire di
pronunciare in mia presenza?
Ma poi capisco, finalmente, la verità si fa strada fra i miei sensi ancora ottenebrati e la potenza della
rivelazione mi lascia stordita, senza fiato, finché riprendo a respirare ad un ritmo accettabile e le mie
labbra recuperano abbastanza forze da ribattere:
«E nel mio, Alexander?»
Il tuo volto bellissimo, velato appena da un’ombra di barba e incorniciato dai capelli neri come la
notte, lunghi sulle spalle come piacciono a me, si apre in una risata cristallina, poi mi guardi fisso
negli occhi, con uno scintillio divertito nello sguardo.
«Impara a fare domande migliori…»
Cerco di riscuotermi, ancora stordita. Nessuno può avere tanto potere su di me.
Nessuno.
Sono io, quella potente. La strega.
Io, che riduco gli uomini in queste condizioni. Io, che detengo il potere assoluto. Io, che piego
chiunque ai miei voleri con la potenza di un unico sguardo. Io, che non ho quasi nemmeno bisogno
di desiderare qualcosa perché si avveri, perché vengano soddisfatte esigenze che non sapevo quasi di
avere.
Io, l’unica strega rimasta con il potere antico della Luna Rossa.
A meno che…
«Tu. Sei…»
«Sì.»
«Ma allora… perché hai resistito ad ogni mio tentativo di sedurti?»
«Perché non è così che funziona. Il gioco sta alle mie regole, non alle tue.»
Sorridi, e una fossetta fa capolino all’angolo della bocca, calamitando la mia attenzione e
annebbiandomi ancora le idee. Cerco di resistere, ma la forza della tua marea è tale che mi trascina a
fondo.
«È così importante che funzioni a modo tuo, o che funzioni in generale?» mormoro.
«È così importante il mezzo che si usa per arrivare allo stesso fine?» ribatti.
Certo, se a usarlo è un altro che non sia io.
Non sono abituata a cedere terreno e tanto meno potere. A nessuno.
Anche se è scritto in una profezia che ha milioni di anni, ancora più del suolo che calpestiamo.
Anche se io e te insieme possiamo afferrare il mondo dalle fondamenta e rovesciarlo per sottometterlo
al nostro Potere Oscuro e antico.
Come se mi avesse sentita, la luce della luna piena invade la stanza, come a dare la sua benedizione
a questa nuova alleanza.
«Mi hai fatto smuovere mari e monti per averti, ed eri già mio, perché è così che è scritto… la Strega
Rossa e l’Arcano Incantatore.»
«Ma è stato divertente vederti adoperare tutte le tue arti per procurarti una cosa che ti apparteneva
già.»
Sorridi, ancora, e stavolta mi perdo nei tuoi occhi verdemare.
E non saprei dire se per colpa della pozione, o della profezia, o perché lo voglio veramente.
E niente è così sublime, nemmeno per una come me che ha passato secoli a cercare di essere libera,
in ogni modo e ad ogni costo, come la sensazione di appartenere a qualcuno.
Anche se, naturalmente, come è sempre stato e sempre sarà, l’ultima parola non spetta a te.
di Giusy Currò
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